Il supporto alla famiglia dell'anziano affetto da demenza
Con l’invecchiamento aumenta la probabilità di sviluppare patologie croniche o acute, tra le quali vi è la demenza. Tale patologia è oggi in aumento, a causa della crescita dell’aspettativa di vita.
Dall’insorgere del decadimento cognitivo, la famiglia dell’anziano, e in particolare il caregiver principale, sono legati in modo indissolubile al decorso della malattia.
Si dice, infatti, che la demenza fa due vittime: il malato e chi se ne prende cura. Due vite che da quel momento in poi procedono in parallelo, in cui l’andamento della malattia dell’uno comporta continue ridefinizioni e aggiustamenti sia organizzativi che relazionali nella vita dell’altro e di fronte al quale il familiare si trova a interrogarsi rispetto al suo ruolo, alla sua capacità di cura, al suo limite.
I ruoli si capovolgono: i figli adulti o il coniuge più in salute si trovano costretti ad assumersi la totale responsabilità dell’anziano, perdendo così il ruolo precedente per adottare quello nuovo e opprimente di caregiver. Si pretende così che i familiari si assumano incredibili responsabilità, con poche conoscenze o competenze specifiche, divenendo pseudo professionali dispensatori di cure.
Anche all’anziano che riceve assistenza si richiede tuttavia un difficile adattamento, in quanto anche lui si trova costretto ad inserirsi nel nuovo ruolo di persona che ha bisogno e riceve le cure, proprio nel momento in cui si sente più confuso a causa della malattia, e tutto questo a favore di un’esistenza dipendente e controllata da altri.
Il percorso nell’esperienza dell’accudimento di un anziano affetto da demenza spesso si caratterizza così per una rapida involuzione per la famiglia, fino al burnout.
La demenza, infatti, fa vivere al caregiver una sorta di lutto anticipatorio legato ai deficit progressivi che si instaurano con la malattia. Shock, negazione, rabbia e frustrazione sono solo alcuni dei sentimenti dolorosi dettati dalla sensazione di aver perso il controllo della situazione, della propria vita. Queste emozioni negative generano poi a loro volta ansia, senso di colpa, depressione e comportamenti contradditori e controproducenti.
Tuttavia, è fondamentale comprendere che questi sentimenti dolorosi rappresentano in realtà reazioni normali. Nella nostra cultura, invece, spesso non sono emozioni socialmente accettabili.
Essere consapevoli che questi vissuti non solo sono spiacevoli per il caregiver che li vive, ma influenzano di riflesso anche la qualità della vita della persona affetta da demenza è molto importante.
E’ per tutta questa serie di motivi che il ricorso ad uno psicologo è spesso utile in questi casi per il caregiver da più punti di vista: per offrire uno spazio in cui poter dare voce e legittimare la rabbia e la sofferenza vissute quotidianamente, come supporto nei difficili momenti di depressione e sconforto, ma anche per svolgere talvolta un ruolo di tipo psico-educativo, di spiegazione e comprensione dei sintomi e dell’andamento dei deficit cognitivi e delle alterazioni del comportamento del proprio caro, così da poterli gestire in modo più funzionale, ma anche per poter rispondere meglio alle esigenze dell’anziano malato e migliorare la qualità di vita di entrambi.