Domande


  1. Perché non riesco a superare questo momento di difficoltà? Tornerò come prima?
    La crisi è spesso intesa solo in termini negativi come “perdita”: “Voglio tornare ad essere la persona che ero prima” si pensa in genere. In realtà con quest’affermazione si esprime un desiderio impossibile in quanto già quotidianamente noi siamo esseri in continuo cambiamento ed evoluzione, giorno dopo giorno, anche senza che siano accaduti eventi apparentemente significativi.
    Pensiamo quindi a maggior ragione come tale richiesta sia illusoria nel momento in cui ci sentiamo appesantiti dagli eventi dolorosi che hanno scatenato la crisi.
    E’ quindi necessario rendersi conto che a volte questa richiesta di ritornare allo status precedente è solo un timore del cambiamento in quanto avvertito esclusivamente nei termini di una perdita e non riusciamo invece a vederlo anche come un’opportunità di guadagno di nuove risorse e potenzialità che, una volta acquisite, diverranno per sempre nostre.
  2. In base a quale criterio si sceglie di andare da uno psicologo, da uno psicoterapeuta o da uno psichiatra?
    Psicologo, psicoterapeuta e psichiatra sono tutti professionisti che si occupano di salute mentale, ma differiscono per il percorso formativo da cui provengono e gli ambiti d’intervento in cui possono esercitare.
    Lo psicologo, infatti, ha conseguito una laurea quinquennale ed ha ottenuto l’autorizzazione all’esercizio della professione in seguito ad un tirocinio e all’iscrizione all’Ordine degli Psicologi della regione d’appartenenza. Il suo intervento si limita alla somministrazione di test psicologici e dello svolgimento di colloqui a valenza supportiva. Non possiede quindi le competenze per intraprendere una cura dei disturbi psicologici.
    Lo psichiatra è invece un professionista laureato in medicina e successivamente specializzato in psichiatria. Il suo intervento è basato sulla diagnosi e sulla prescrizione di psicofarmaci in quanto considera il disagio psichico in termini di anomalie nel funzionamento del sistema nervoso in senso biochimico. Essendo iscritto all’Albo dei Medici, è l’unica figura professionale tra le tre che può quindi prescrivere psicofarmaci.
    Infine, lo psicoterapeuta è un professionista, già psicologo o medico, con una specializzazione quadriennale in psicoterapia riconosciuta dal Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca - M.I.U.R.. La maggior parte delle scuole di psicoterapia, inoltre, richiedono un percorso di analisi personale da concludersi prima del termine dell’iter formativo.
    La psicoterapia è un intervento basato sull’uso del colloquio clinico e l’instaurarsi della relazione e dell’alleanza terapeutica.
    Lo psicoterapeuta si occupa di forme di disagio psichico di diversa entità, da quelle più lievi alle situazioni più gravi.
  3. In cosa consiste una seduta di psicoterapia? (frequenza, durata seduta e terapia)
    È un colloquio, della durata di circa 50 minuti, in cui il paziente è libero di raccontare ciò che vuole, in quanto non c’è materiale “utile” o “superfluo”, “vero”, cioè coincidente in modo oggettivo a ciò che è accaduto realmente fuori dalla terapia o “falso”, perché ciò che interessa è il vissuto del paziente stesso.
    Il terapeuta, inoltre, non giudica e non dà consigli. Piuttosto accompagna il paziente in un percorso di acquisizione di consapevolezza di ciò che ostacola il superamento del momento di crisi, aiutandolo a potenziale e a mobilitare dentro di sé le risorse più idonee ad affrontare il disagio psicologico di cui è vittima, al fine di riprendere in autonomia il corso della propria vita.
    Tutto ciò che viene detto nel corso del colloquio psicologico è coperto da segreto professionale.
    In genere le sedute hanno una frequenza settimanale, salvo diversi accordi che paziente e terapeuta possono prendere in base ad esigenze specifiche.
    Il percorso psicologico che terapeuta e paziente affrontano insieme ha la durata prestabilita di un “pacchetto” di colloqui, eventualmente rinnovabile qualora insorgano necessità in questo senso.
    Completato il numero concordato di colloqui, terapeuta e paziente si confrontano rispetto al raggiungimento degli obiettivi prefissati e decidono insieme se terminare il percorso di psicoterapia (con un eventuale follow-up a distanza di tre/sei mesi) o se, insorte nuove necessità nel paziente, stabilire un altro numero di sedute, quindi un nuovo focus.
  4. Lo psicoterapeuta può prescrivermi dei farmaci?
    Come accennato sopra, lo psicoterapeuta non può prescrivere farmaci, a meno che non sia medico o psichiatra e pertanto iscritto all’Albo dei Medici. In alternativa lo psicoterapeuta, solo nei casi in cui lo ritenga opportuno e dopo essersi confrontato col paziente, può inviare ad un collega psichiatra per un’eventuale terapia farmacologica, nella maggior parte dei casi temporanea, precedente o contemporanea al lavoro psicoterapico.
  5. Che differenza c’è tra psicoterapia psicoanalitica e cognitivo-comportamentale?
    Il modello/metodo psicoanalitico si basa essenzialmente sul presupposto che il disagio dell’individuo derivi dalla sua difficoltà a risolvere un conflitto inconscio. Il terapeuta aiuta quindi il paziente a farlo riaffiorare alla coscienza al fine della sua risoluzione.
    La terapia cognitiva vede, invece, alla base della sofferenza psicologica una distorsione cognitiva.
    Parte dal presupposto che ogni individuo nel corso della propria vita tende ad apprendere degli “schemi” cognitivi, ovvero delle immagini di sé, del mondo esterno e del futuro che fanno da filtro all’interpretazione di ogni evento quotidiano. Da queste derivano le emozioni e quindi i comportamenti di ciascuno di noi. Talvolta però questi filtri che applichiamo all’interpretazione della realtà possono essere disfunzionali, in quanto irrealistici e fonte di emozioni e comportamenti negativi. Anche attraverso l’uso di tecniche e metodi comportamentali, la psicoterapia di tipo cognitivo lavora quindi ad un livello più “consapevole”, perché mira a rendere la persona cosciente di come questi suoi schemi di pensiero siano in realtà disfunzionali, mirando quindi a modificarli, così da renderli più funzionali per il soggetto.